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- Conclusioni dell'avvocato generale CHRISTINE STIX-HACKL del 14 marzo 2006

La Grande Sezione della Corte, dopo aver disposto la riapertura della fase orale del procedimento, ha posto i seguenti quesiti: a) Quali siano i criteri che consentono di qualificare un’imposta come imposta sulla cifra d’affari ai sensi dell’art. 33, n. 1, della sesta direttiva, tenuto conto dell’obiettivo di tale disposizione e del funzionamento del mercato; b) In quale misura le operazioni bancarie possano essere assoggettate ad un’imposta di questo tipo; c) Alla luce delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs, in quali circostanze e in che maniera possano essere limitati nel tempo gli effetti delle sentenze pronunciate dalla Corte in via pregiudiziale. La presente trattazione, non approfondirà le questioni di cui alle lettere b) e c) in quanto relativamente all’assoggettamento delle operazioni bancarie all’IVA o all’esenzione dalla stessa dei servizi finanziari in genere, la problematica non è significativa al punto tale di poter influenzare il giudizio di legittimità dell’IRAP; mentre per quanto riguarda la limitazione nel tempo degli effetti delle sentenze della Corte di giustizia (problematica che ha interessato numerosi stati membri della comunità che sono intervenuti nel procedimento), questa esula dalla presente analisi tecnico-fiscale di comparazione tra IRAP e IVA e non verrà pertanto trattata. Il 14 marzo 2006 la dr.ssa C. Stix-Hackl ha presentato le proprie valutazioni. L’avvocato generale (austriaca) nelle sue conclusioni fa ricorso, in misura maggiore rispetto al suo collega (inglese) F.G. Jacobs, alla giurisprudenza della Corte per provare a delineare quali siano le caratteristiche che un’imposta debba avere per essere considerata un’imposta sulla cifra d’affari. Tale criterio di interpretazione basato su “precedenti giudiziari” è tipico dei sistemi giuridici di common law, nei quali il corpo di regole a cui fare riferimento non è, come nei sistemi di civil law (quale è il sistema Italiano), “legislativo” ma bensì è basato sulle sentenze dei giudici. La dr.ssa C. Stix-Hackl, condividendo le osservazioni dell’avv. Jacobs, conclude che l’IRAP “ricade nell’ambito del divieto di cui all’art. 33, n. 1, della sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE, riguardante altri tributi nazionali che abbiano le caratteristiche di un’imposta sulla cifra d’affari,” ma aggiunge “purché, per un campione rappresentativo di imprese assoggettate ad entrambe le imposte, il rapporto tra gli importi pagati a titolo d’IVA e gli importi pagati a titolo dell’imposta in questione risulti sostanzialmente costante”. Rimettendo in questo modo al giudice nazionale l’accertamento della sussistenza di quest’ultima condizione. Tale accertamento, è infatti, secondo l’avvocato generale, indispensabile per verificare nella sostanza la discussa somiglianza tra le due imposte. Venivano indicati i criteri che si sarebbero dovuti seguire per elaborare un grafico che mostrasse l’importo di ciascuna imposta che un certo numero di imprese, operanti in diversi settori, disposte in ordine progressivo da quelle di minori dimensioni alle più grandi, devono pagare evidenziando in tal modo se ci fosse un parallelismo fra le basi imponibili delle stesse imposte. L’Ufficio studi dell’Agenzia delle entrate effettuava a maggio 2006 quest’analisi comparando i gettiti delle imprese nel periodo 1999-2002. Il risultato di tale studio conferma in pieno la somiglianza della base imponibile IRAP con quella IVA, infatti alla tabella Panel 5 (dove per Panel si intende un insieme di imprese che hanno dichiarato un’IVA dovuta positiva) i totali delle colonne “BASE IRAP / IVA” mostrano, in media, un rapporto pari ad 1,07.

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